Mai e poi mai, e questo devo tenermelo bene a mente, annunciare la recensione di un film per larassegna Notte Horror prima ancora di averlo guardato. Questo perché ora che finalmente(termine ironico) l’ho visto, mi trovo davanti a un foglio bianco che non so davvero come riempire.
O meglio, un modo ci sarebbe: quello di mettere in sequenza un migliaio di insulti fino araggiungere una lunghezza decente per un articolo di blog. Potrebbe però essere l’occasione permettere in pratica un esperimento sociale, che è una cosa che da un po’ mi frulla in testa, percapire quanta gente atterra sul blog, guarda le immagini, legge giusto il titolo e passa alla sezionecommenti senza davvero leggere il contenuto.
Il problema è che i colleghi blogger che partecipanoalla Notte Horror i post li leggono davvero e non posso permettermi di tradire la loro fiducia. Eccoquindi che due parole sensate, per questo “Ristorante all’angolo” (Blood Diner, 1987), mi toccaproprio metterle in fila.
Ho detto poco fa di non aver mai visto questo film prima d’ora, ma riflettendoci non ne sono poicosì sicuro. La locandina, questo è un fatto, è un déjà-vu piuttosto solido, e ciò potrebbe significareche in tempi remoti potrei aver avuto a che fare con la VHS in quella vecchia videoteca chefrequentavo da ragazzo.
Ciò non garantisce che io l’abbia noleggiata, ma visto quant’era scarna lasezione horror in quel posto, le probabilità sono tutt’altro che irrisorie. Anche perché, bisognaammetterlo, quella locandina, con l’insegna al neon e il coltellaccio, è ancora oggi una potentecalamita. Comunque sia andata non ricordavo nulla di quel film, anche perché, se l’avessi fatto,non mi sarei certamente avventurato in una nuova visione che chiamare superflua è sin troppogeneroso.
Eppure, l’incipit non è affatto male. Un uomo, un serial killer furioso che si aggira per le strade “conuna mannaia in una mano e i genitali nell’altra”, sfonda la porta di un’abitazione per appropriarsi,come da copione, delle vite dei residenti. Nella fattispecie si trova di fronte due bimbi terrorizzatiche fino a un secondo prima se ne stavano tutti soli in casa a fare cose da bambini su un tappeto.Mentre ci prepariamo all’inevitabile esecuzione, giunge inaspettato il colpo di scena: l’uomo è lo zio di quei bimbi, e si èrecato in quel posto per rendere l’ultimo saluto ai nipotini prima di essere abbattutodella polizia (cosa che accadrà nel giro di pochi minuti, non appena l’uomo metterà il naso fuoricasa).
Certo, presentarsi con una mannaia in mano e coperto di sangue non è il modo migliore perlasciare un bel ricordo di sé, ma sappiamo bene che nella vita a volte occorre saltare su un treno,qualunque esso sia, perché potrebbero non passarne altri.
Stacco di scena, balzo nel futuro, e ritroviamo i due bimbi ormai prevedibilmente cresciuti ealtrettanto prevedibilmente psicopatici; uno stato clinico che, ci suggerisce l’esperienza, potrebbeavere qualcosa a che fare con quel piccolo trauma infantile. Che i due ragazzi siano un filinoproblematici ce lo conferma la scena successiva, che li vede impegnati a riesumare il cadaveredell’amato zio, attorno al quale hanno creato, nel corso degli anni, un’aura mitologica.
Quel cherimane sono un cervello, sorprendentemente intatto nonostante il tempo trascorso, e un paio diocchi che i due si affrettano a ricomporre e a infilare in un barattolone di formalina, dal quale lo zio,tornato miracolosamente senziente grazie a un imprecisato rituale, inizia a dispensare consigli ainipoti. E a questo punto inizia il vero delirio.
Soprassiederò sulle ricercatissime iperboli messe in scena dal regista (una tra tutte la capacità delcervello di fare cose come telefonare) perché sono l’unica cosa palesem*nte voluta, ma ci tengo amettere in guardia l’incauto spettatore dal proseguire una visione che molto probabilmente glirovinerà la serata, soprattutto perché da qui in avanti tutto degenera. Se siete persone normali,probabilmente spegnerete la televisione e vi metterete a fare cose più utili, tipo dare l’acqua allepiante, ma se siete dei blogger che hanno promesso una recensione, beh, la situazione per voinon è affatto invidiabile. Non vi resta che cercare la salvezza nello schermo del vostro smartphonee alzare gli occhi di tanto in tanto per vedere se succede qualcosa (spoiler: non succede).
Purtroppo, avevo deciso di inserire nella rassegna di quest’anno qualcosa che avesse a che farecon lo speciale food movies che sto portando avanti da giugno (e che proseguirà a settembre) e iltitolo in questione mi sembrava essere il più appropriato, mettendo sulla bilancia sia il temaculinario che il suo essere trash come la Notte Horror richiede. Ma è inutile fasciarsi la testaquando ormai è frantumata, e tutto sommato poteva anche andarmi peggio; poteva anche saltarfuori qualcosa che con la ristorazione, nonostante il titolo, non avesse nulla a che fare, mentre ne“Il ristorante all’angolo” c’è effettivamente una tavola calda dove i due gestori psicopatici (i fratelli dicui sopra) attirano e uccidono giovani donne per utilizzarle, tra le altre cose, come ingredienteprincipale delle loro portate. C’è anche una sottotrama piuttosto confusa che vede i due fratellicostretti a fare sacrifici in onore di una regina egizia morta, ma questo è chiaramente unespediente per sviluppare situazioni che vorrebbero essere comiche ma in che in realtà sono laprincipale rovina del film.
Intendiamoci, io non ho nulla contro le horror comedy, anzi alcune diesse (poche) in passato le ho anche apprezzate, ma se il film finisce per annegare nella suastessa stupidità allora c’è decisamente qualcosa che non va.O più probabilmente è solo colpa mia, visto che in effetti me ne avevano parlato come di una sortadi moderno tributo (più che altro una parodia) a “Blood Feast” (1963) di Herschell Gordon Lewis, ilprimo film gore mai realizzato e tuttora per molti, nella sua demenzialità, un cult insuperabile.
Dalontano, lo ammetto, il tributo è visibile, visto che anche nell’originale c’era un ristoratoreinteressato all’egittologia, ma in “Blood Diner” la regina Sheetar è solo una brutta copia della suaispiratrice Ishtar, che tra l’altro (entrambi i film su questo punto sbagliano) non era affatto unaregina, bensì una dea mesopotamica la cui identità, in seguito, sarebbe traslata nella figura grecadi Afrodite. A parte la vaga assonanza fonetica, che tradisce una formazione classica minimale, lesimilitudini tra cinema e mitologia finiscono ancor prima di cominciare: il personaggio del cinema èalla costante ricerca di membra amputate a giovani donne da mettere insieme e con le qualiottenere un nuovo corpo in cui reincarnarsi, quello della mitologia, come sappiamo, è invece lapersonificazione dell’amore e della fertilità.
Caratterizzato da un approccio registico alla Ed Wood, la cineasta (oddio, che parolona)americana Jackie Kong è stata negli anni Ottanta una vera specialista del genere, riuscendocontro ogni pronostico a ottenere il via libera per la realizzazione e la distribuzione di oscenitàtitaniche come “The Being” (1983) e “Night Patrol” (1984), che pur nella loro mediocrità hannoavuto il privilegio di vantare la partecipazione, rispettivamente, di Martin Landau e Linda Blair, duestelle che hanno brillato un quarto d’ora in carriera per poi perdersi in produzioni buone solo per ilbidone dell’indifferenziata.
Parliamoci chiaro: “Blood Diner” non vuole affatto spacciarsi per quello che non è. Sin dallalocandina è evidente che si tratta di un filmaccio anni Ottanta esagerato e ridicolo, con quintali dibattute volgari, nudi insensati e litri di sangue; il vero problema è che rispetto al film a cui si ispira èmille volte più fiacco e noioso, e mi stupisco di come 35 anni più tardi ci sia ancora qualcuno (tipoio) che sia ancora qui a parlarne.
Venendo alle cose serie, quella di quest’anno è l’undicesima edizione di questa periferica iniziativablogghereccia che si ispira alle mitologiche Notti Horror di Italia 1, ed è la prima edizione alla qualela nostra cara amica Arwen Lynch non partecipa. Purtroppo, il destino per lei ha sceltodiversamente e ora, se da qualche parte si trova, assiste a quello che noi scribacchiamo sui blogda una prospettiva diversa. Arwen Lynch, nata Laura Stella Bisanti e alla quale questa edizione èdedicata, era un personaggio incredibile e, sono certo di poter parlare per tutti, ci mancheràimmensamente. Ed è per ricordare lei che la Notte Horror continua, oggi stesso, da Cassidy, alquale è affidato il compito di risollevare il livello qualitativo che io con “Blood Diner” hoscaraventato in cantina.